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Ho costruito la mia vita sulla roccia. Storia di Plinio Agostoni

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Plinio Agostoni, scomparso a 80 anni il 5 marzo 2024

Di Plinio Agostoni, morto a Lecco a ottant’anni scorso 6 marzo, si deve innanzi dire che era un tipico imprenditore lombardo e un tipico cristiano: le due cose erano in lui inestricabilmente intrecciate.

La vicenda della Icam, il maggior produttore di cioccolato biologico del mondo, fondata da suo padre nel 1942, era un tutt’uno con quella della sua famiglia come è tipico di questa imprenditoria e di questo ambiente.

Ciononostante, ricordava Plinio in una sua recente memoria autobiografica (in Don Gius: storie di un incontro e di vite cambiate, Lindau, Torino, 2022) nella sua vita ad un certo punto si introdusse «un fattore più determinante dell’appartenenza alla famiglia e della storia dell’azienda». «E, a distanza di tanti anni», aggiungeva, «saranno più di sessanta, ricordo ancora con chiarezza l’insorgenza di questo elemento di novità radicale. Stavo rientrando a casa, a piedi, di sera, quando all’improvviso un pensiero mi attraversò la mente, “Dovesse fallire la nostra azienda, dovessi perdere tutto, cosa farei? Mi accorsi che il cuore non fu preso dalla paura ma subito riempito da un’altra certezza, da un’altra presenza: gli amici (del Movimento. Ndr)”. “Ho gli amici”. Beninteso non avevo alcun motivo di preoccupazione, l’azienda andava bene, ma quel pensiero inaspettato era il segno che ormai era un altro il punto di consistenza, la roccia che sosteneva la mia vita, il mio io».

L’incontro con don Giussani

Ci si deve immaginare una famiglia come la sua, soprattutto di quella generazione, per rendersi conto di quale svolta sia stata, per il giovanissimo Plinio di quegli anni, una simile presa di coscienza, all’origine della quale c’era l’incontro con don Luigi Giussani, in cui per la prima volta egli si imbatté nel 1959 quando aveva quindici anni.
«Venivo da una educazione cattolica tradizionale», ricordava, «fatta di tante regole e tanti “no” e ne avvertivo il peso. Non avevo il coraggio di rifiutarla, ma invidiavo quei miei compagni di scuola che apparivano più pieni di vita proprio per aver preso le distanze dalla Chiesa. L’incontro con don Giussani ribaltò totalmente la mia vita e la mia prospettiva».

«Nell’incontro con don Giussani», diceva, «e con la compagnia che attorno a lui si era generata, ho fatto esperienza di un luogo ove Cristo è presente ed incontrabile. (…) non però un riferimento astratto come un’idea, un pensiero o un sistema ideologico, ma concretamente rintracciabile e sperimentabile dentro la novità dei rapporti con gli amici di quello che allora era il movimento di Gioventù studentesca».

Plinio, crescendo e studiando fino alla laurea in ingegneria, ha poi giocato tutte le sue scelte di marito e di padre, di dirigente industriale fino a quella di imprenditore sulla base di quell’incontro che, diceva, «ha dato la “sua” forma al mio essere imprenditore. Ma molto prima ha influito, ha orientato le scelte più importanti della mia vita. Innanzitutto ha dato una forma singolare al percorso che mi ha portato al matrimonio, da cui sarebbero poi nati quattro figli e (finora) tredici nipoti».

Non voleva essere un “figlio del padrone”

Dopo la laurea in ingegneria Plinio sceglie di non entrare nell’azienda di famiglia. Nel clima di quegli anni, in un contesto in cui l’egemonia della cultura marxista era quasi assoluta, furono molti i figli di industriali che non vollero entrare nelle aziende di famiglia. Fece anche lui tale scelta, non volendo partire da “arrivato” e in ogni caso da “figlio del padrone”. La ragione più importante di tale decisione fu però per lui un’altra.

Si era agli inizi degli anni ’70, in anni cui prevaleva l’idea che il superamento delle ingiustizie della società borghese, cioè la liberazione, passasse necessariamente per la lotta di classe. Plinio e i suoi amici osavano affermare che la liberazione viene da Cristo, dalla sua novità che è comunione. Non era ancora stato coniato il nome “Comunione e Liberazione” ma il concetto era quello. Di qui la scelta di andare a lavorare in una fabbrica altrui, in cui egli fosse uno come tutti, per sperimentare dentro quella condizione e dentro quel mondo la verità e la “tenuta” di tale convincimento.

I volantinaggi ai cancelli

Trovò lavoro alla Società Anonima di Elettrificazione, S.A.E., con sede a Milano, numerose filiali in molte parti del mondo e una grossa unità produttiva a Lecco, che a quel tempo dava lavoro a circa millecinquecento persone. La S.A.E. realizzava grandi linee elettriche nel mondo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Plinio si occupava della loro progettazione, e nel tempo salì i diversi gradini della carriera fino a diventare dirigente. Per qualche anno fece anche parte di quella che allora si chiamava Commissione interna cioè della rappresentanza sindacale aziendale. Chiaramente faceva una certa impressione vedere un ingegnere coinvolgersi nelle questioni sindacali e la cosa era osservata anche ai “piani alti”, per cui pagò pure qualche prezzo in termini di avanzamento di carriera.

Dentro o fuori la Commissione interna, l’attenzione e la discussione sulle grandi e piccole problematiche che dal mondo del lavoro si estendevano ad abbracciare l’idea di società, di mondo, di rapporti più giusti ed umani a tutti i livelli, erano il pane quotidiano. Punto insuperabile nelle forme di lotta era che Plinio pretendeva non fossero mai violente. Con i suoi amici di Cl organizzava il volantinaggio ai cancelli della S.A.E e di altre fabbriche del Lecchese in merito agli eventi più significativi della vita culturale e politica. Si era così creato un gruppo di fabbrica, una quindicina di persone, soprattutto operai, che si incontravano sistematicamente per leggere e riflettere sui testi del Movimento, per discutere o per pregare. In quaresima, al venerdì, durante la pausa mensa, il gruppetto andava in una chiesa vicina per la Via Crucis.

Alla Icam

Plinio lavorava alla S.A.E. ormai da 18 anni quando la società venne comprata da un gruppo tra i più importanti del mondo in campo energetico. In seguito a quella acquisizione, la cultura aziendale cambiò completamente: «Il profitto», ricordava, «non era più il risultato di un lavoro sempre più curato e reso efficiente, ma divenne un a priori» che non teneva più conto del valore dell’uomo che lavora. A questo punto Plinio, che non aveva sino ad allora messo in programma di entrare nell’azienda di famiglia, ci ripensò pur rendendosi conto che «dopo 18 anni non sarebbe stato neppure scontato che i miei famigliari, gestori della Icam, ritenessero di aver bisogno di una persona con il mio curriculum. «Non avevo voluto partire da “arrivato” ma tanto meno avrei voluto entrare da “sopportato”». L’operazione riuscì e in un anno divenne direttore di produzione.

Sulla base dell’esperienza fatta nella S.A.E. portò nella Icam «innanzitutto l’idea che l’azienda prima di essere una priorità è una responsabilità. (…) che non se ne può disporre a piacimento ma occorre gestirla in modo che porti vantaggio a tutti (…). “Ho portato un’immagine di azienda in cui sono distinti, anche fisicamente, i ruoli e le relative responsabilità: la Proprietà, il Consiglio di Amministrazione, il Management e i ruoli operativi. E questo non senza tensioni e resistenze con fratelli e parenti, dal momento che a quel tempo, pur avendo ciascuno un proprio compito, tutti volevano discutere e decidere su tutto». L’idea dell’azienda non come proprietà ma come responsabilità passa anche da questo, dal riconoscere che è un organismo dove ciascuno ha un ruolo, dà un contributo ed ha diritto ad avere un ritorno, «non soltanto coloro che lavorano all’interno dell’azienda, ma anche quelli che sono al di fuori, dai coltivatori di cacao a tutti gli altri soggetti coinvolti (…)».

Superare la logica dell’equo e solidale

La Icam, ricordava Plinio, grazie in particolare all’opera di suo fratello Angelo, comincia allora a comprare il cacao direttamente dai produttori riconoscendo così loro un equo prezzo. E non solo: «Li abbiamo anche affiancati perché modificando il tipo di coltivazione e la preparazione del cacao potessero ottenere dalla propria piantagione una quantità maggiore di prodotto, una migliore qualità e incrementare così i ricavi (…) superando la logica del “commercio equo e solidale”, che è una cosa lodevole ma fondamentalmente limitata».

«Nella mia esperienza imprenditoriale», ricordava Plinio, «ho imparato che business ed etica non sono cose separate od opposte: o nascono insieme, l’una coinvolge l’altra, oppure non combaciano mai. E ho anche potuto constatare che un’azienda non deve necessariamente allontanarsi dall’etica per avere successo. In questo senso è stata per me una conferma inaspettata di quanto appena detto sentirmi fare la proposta di candidarmi alla presidenza di Confindustria del mio territorio (Lecco e Sondrio)».

Scuola e impresa

Al di là di tutto questo, Plinio fu anche tra i fondatori e promotori a Lecco di scuole paritarie. Dal 1983, quando nacque una scuola media intitolata a san Massimiliano Kolbe fino al 2005 quando si giunse ad aprire il Liceo Classico e Scientifico “Giacomo Leopardi” (oggi sono circa mille i ragazzi e le ragazze che frequentano questo insieme di scuole paritarie.).

Facendo le scuole Plinio si rese poi anche conto del valore sociale ed anche economico dell’educazione. «Questo l’ho capito non partendo da imprenditore ad occuparmi di scuola, ma facendo scuola ho capito che le cose erano collegate. (…) L’impresa ha sempre più bisogno di uomini capaci di relazioni, di ampiezza di conferimento di senso della vita, perché la tecnica sia efficace, flessibile ai cambiamenti, in grado di affrontare i problemi sempre nuovi che l’accelerazione dei tempi impone. (…) Occorre partire dall’io, occorre partire da ciò che fa muovere l’io; e l’io non si muove per calcoli, si muove per qualcosa di più grande, da “quel grumo di evidenze e di esigenze elementari, di bellezza, di giustizia, di verità, di amore che costituiscono l’uomo, che sono in ciascuno di noi”. Ne ho fatto esperienza a 15 anni incontrando don Giussani e lo verifico come vero ancora oggi. Guardandomi indietro, non posso immaginare cosa sarei io senza il don Gius: sono quello che sono e tutto quello che ho fatto è dipeso da quell’incontro».


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